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Stazionario

A SCUOLA DOPO LA PANDEMIA: RIPARTIAMO DALLE EMOZIONI E DALLE RELAZIONI

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La fine di questo anno scolastico ha lasciato l’amaro in bocca. I bambini non hanno potuto salutare i compagni e gli insegnanti. I luoghi della scuola, che per tanto tempo sono stati una seconda casa, sono rimasti solo nella memoria. I fili del delicato tessuto di relazioni che si forma durante il percorso scolastico si sono allentati.

L’anno prossimo si dovrà ricominciare consapevoli che la pandemia ha colpito i bambini in maniera pervasiva privandoli delle loro certezze, allontanandoli dagli amici, costringendoli a “fare scuola”in un contesto che non era più quello scolastico ma quello casalingo. L’esperienza è stata più o meno positiva a seconda della capacità degli insegnanti di mettersi in gioco, al possesso dei mezzi informatici indispensabili per le lezioni e alla disponibilità di chi a casa li doveva aiutare.

Gli alunni che si ripresenteranno a settembre saranno bambini che hanno subito un’interruzione nel loro percorso educativo. Gli insegnanti non potranno dare per scontato che tutto sia come prima, tre mesi di chiusura e tre mesi d’interruzione estiva fanno in tutto sei  mesi, un tempo lunghissimo per un bambino.

I bambini che arriveranno dovranno essere aiutati a formare di nuovo un gruppo, a riconoscere in se stessi e negli altri le emozioni che provano e dare un nome a quello che hanno provato durante il periodo di chiusura. Si troveranno di nuovo ad affrontare i normali conflitti che sorgono quando le relazioni sono importanti e dovranno imparare a risolverli in maniera positiva.

In questa nuova situazione ci sono anche altre cose che devono imparare: come stare insieme senza considerare l’altro un possibile pericolo, come lavorare insieme perché è così che si cresce, come essere prudenti senza alzare muri e ritrovare la gioia d’imparare.

Gli insegnanti sanno che questo nuovo inizio sarà particolare, le scuole stanno già attrezzando gli spazi fisici, ma toccherà a loro accogliere i bambini ed aiutarli a ritrovare una normalità. Quelle che sono state più danneggiate durante la chiusura sono state le relazioni ed è a queste quindi che va data particolare attenzione. Una classe in cui le relazioni funzionano lavora meglio ed apprende con più facilità. Prima di preoccuparsi di rimettere in pari con gli apprendimenti i bambini è bene preoccuparsi di aiutarli a muoversi nel mondo delle emozioni, a star bene a scuola lavorando con i compagni, a dirimere in modo positivo i loro conflitti, altrimenti rischiamo di preoccuparci della macchina ma non dell’autista che la deve guidare.

Per avere indicazioni pratiche e attività da proporre in classe

STAR BENE INSIME A SCUOLA: percorsi di educazione affettiva e relazionale

Docente Cristina Lorimer,  formazione online accreditato dal MIUR

Questo percorso formativo, nato grazie all’esperienza concreta e alle attività realizzate dalla docente  con i propri alunni della scuola primaria, si articola in 3 moduli:

  • Viaggio nel paese delle emozioni: attività per l’educazione emotiva.

  • Costruiamo il gruppo classe con i compiti della strega

  • La mediazione dei conflitti fra pari

Di nuovo a scuola

E’ migliorato… ma ha sbagliato le verifiche…

 

di Sandra Matteoli

Nel corso di molti anni di lavoro con i bambini in difficoltà a scuola, ho sentito spesso pronunciare questa frase dai loro genitori e dai loro insegnanti di fronte ai risultati insufficienti delle prove di verifica quadrimestrali. Si trattava di bambini seguiti dalla sottoscritta con un percorso pedagogico individuale (effettuato privatamente in orario extrascolastico) per il quale i genitori si erano attivati con il parere favorevole degli insegnanti. Le difficoltà scolastiche del bambino, pertanto, erano conosciute e condivise dagli adulti che collaboravano per aiutarlo a progredire nei processi di apprendimento con l’aiuto di un “esperto”.
Puntualmente, però, arrivavano le verifiche a mettere in discussione il percorso che stavano portando avanti con risultati ritenuti da tutti soddisfacenti! Era come se non aver saputo fare bene le verifiche previste per la classe di appartenenza annullasse i passi avanti compiuti dal bambino nel proprio percorso evolutivo. Spesso si assisteva, nel periodo seguente alle verifiche, ad una vera e propria “regressione” del bambino che si evidenziava parallelamente alla “crisi” manifestata dagli adulti ed espressa, a mio parere, proprio con la frase ripresa nel titolo di questo contributo.
Ecco l’idea di partire da una frase per riflettere sul significato e sulle possibili implicazioni cognitive ed emotive che le verifiche possono avere per i bambini in difficoltà e per coloro che li accompagnano nel loro percorso (senza dubbio più faticoso e lungo di quello dei loro coetanei più  fortunati “nelle cose di scuola”).

Se prendiamo la prima parte della nostra frase “E’ migliorato” vi troviamo l’affermazione e il riconoscimento di un passo in avanti rispetto a una situazione di partenza senza dubbio di livello inferiore a quella attuale. Ciò presuppone, quindi, anche la conoscenza e la consapevolezza delle difficoltà iniziali, di un divario esistente fra le prestazioni scolastiche del bambino  e quelle attese in base alla classe frequentata. Proprio su questo si è basata la decisione di offrire al bambino un aiuto specifico. Sembra tutto logico e chiaro.
La seconda parte della frase se da un lato riferisce dati oggettivi ( i risultati delle verifiche ) dall’altro comunica anche una serie di dubbi e di emozioni derivati proprio dall’apparente conflitto fra l’essere migliorato e, allo stesso tempo, non aver raggiunto nemmeno il minimo livello dei compagni! Naturalmente la nostra frase è seguita da una serie di considerazioni che possiamo così sintetizzare:
Come può aver sbagliato se è migliorato?!
Ma allora non è migliorato?!
Non si è impegnato!
Le verifiche erano troppo difficili!
Il problema è che i genitori non hanno accettato le difficoltà… comunque ci aspettavamo di più anche noi!
Forse non  lo abbiamo aiutato abbastanza.. ma allora che cosa dobbiamo fare?

Come si può notare tutti gli “attori” sono coinvolti:
- i genitori che, forse, non hanno accettato il problema e/o non si sono dati da fare abbastanza per seguire il figlio
- il bambino che non si è impegnato
- le insegnanti che non lo hanno capito
- le verifiche troppo difficili
- il pedagogista che forse non è all’altezza

A seconda del punto di vista il “colpevole” viene individuato nell’uno o nell’altro e, nel frattempo, si rimane un po’ “sospesi”, dubbiosi e incerti, si torna a guardare il bambino con occhi indagatori.. e lui?
Naturalmente lo capisce, è disorientato, confuso, reagisce spesso in maniera ambivalente perché il senso di  colpa per aver deluso tutti, si alterna con la rabbia e la sensazione di impotenza…talvolta rifiuta di lavorare in classe, di continuare la terapia e, nei casi più complessi, può iniziare a rifiutarsi di andare a scuola.
A questo punto occorre che gli adulti si siedano intorno a un tavolo  e si confrontino per poter superare il momento di crisi e riprendere un percorso evolutivo. Il primo passo sarà quello di ricostruire il cammino compiuto insieme rivedendone il punto di partenza ( cioè il momento in cui sono state rilevate e condivise le difficoltà del bambino ), gli obiettivi stabiliti sia a  medio che a lungo termine e tutte le attività realizzate ( a scuola, a casa e in terapia ). Infine è necessario riflettere sulle abilità di base che risultano ancora carenti e non permettono al bambino di riuscire a eseguire con successo le attività di verifica previste per la classe di appartenenza.
Gli insegnanti e i genitori possono così riflettere insieme, con l’aiuto e la mediazione del pedagogista, sulle caratteristiche del bambino imparando ad accettarle ed evidenziandone le potenzialità piuttosto che le carenze. Si tratta di un percorso lungo  e complesso, spesso sembra compiuto in modo definitivo ma, a volte, basta poco, anche una verifica quadrimestrale, per metterlo di nuovo in discussione.

Che cosa fare allora per prevenire quanto appena descritto?  Senza dubbio non possiamo abolire le verifiche, né azzerare le difficoltà del bambino..
Gli adulti, in particolare gli insegnanti e gli esperti, conoscono le prestazioni del bambino e seguono il suo percorso di apprendimento per cui possono prevedere in quali attività incontrerà maggiori difficoltà. Occorre, quindi, incontrarsi e confrontarsi per stabilire come procedere a livello didattico e relazionale.

libro aperto

VORREI SOLAMENTE INSEGNARE SENZA VALUTARE MAI  

La valutazione del profitto nella scuola

di Maurizio Parente

"Vorrei solamente insegnare senza valutare mai"

"I voti parlano chiaro: il bambino non ha compreso"

Le frasi citate costituiscono due esempi abbastanza calzanti di alcune delle insoddisfazioni e delle incomprensioni che gli insegnanti manifestano rispetto alla loro attività di valutazione.  
Ho volutamente introdotto i termini insoddisfazione e incomprensione poiché mi sembrano esprimere almeno due atteggiamenti riscontrabili tra gli insegnanti:

  • nel primo caso appare chiara la delusione - a volte la frustrazione - dei  docenti riguardo la poca affidabilità riconosciuta sia agli strumenti utilizzati per verificare gli apprendimenti, sia alla loro stessa competenza nell’elaborare i giudizi, a partire dai risultati delle prove, per prendere delle decisioni in merito alla carriera scolastica degli studenti;

  • nell’altro caso emerge un’eccessiva fiducia correlata a una scarsa conoscenza dei limiti dello strumento valutativo, che induce i docenti a non chiedersi i motivi che possono aver influito, in modo, negativo sugli apprendimenti dell’alunno.

In entrambi i casi il problema è quello di riuscire a comunicare, in un voto finale o giudizio, anche positivo, la complessità e le caratteristiche originali del percorso individuale di ognuno.   
Tale processo risulta, ancora oggi, piuttosto difficile.
In genere la valutazione del profitto scolastico è stabilita dal confronto dei risultati ottenuti dagli studenti con i risultati attesi (obiettivi). È in base alla loro vicinanza o distanza che si traggono inferenze sul livello di apprendimento. Quando, in tempi non troppo lontani, è emersa l’esigenza di effettuare misurazioni che fossero rapide, semplici e allo stesso tempo rigorose e scientificamente fondate, si è fatto ricorso alle prove standardizzate (i famosi quiz). Questo modello, il cui scopo iniziale è stato quello di accertare soltanto il successo oppure l’insuccesso dell’apprendimento per suggerire interventi di rinforzo o di aiuto, per molti è diventato anche un sistema di giudizio selettivo. Il suo limite maggiore, però, sta in “ciò” che intende e riesce a valutare. Tale modello, valutando ciò che un ragazzo “sa”, controlla e verifica la “riproduzione”, ma non la “costruzione” e lo “sviluppo” della conoscenza, e neppure la “capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta.  
Non è un caso, quindi che molti studiosi abbiano iniziato a muovere serie critiche nei confronti di questo tipo di valutazione. Esso infatti:

  • non consente di accertare l’abilità degli studenti di risolvere problemi complessi, di pensare in modo creativo, di comunicare con efficacia, e di impegnarsi in attività o lavori di collaborazione;  

  • non permette di verificare il possesso di abilità cognitive complesse;

  • non aiuta a capire cosa realmente sa uno stendete, poiché le prove somministrate inducono gli studenti a prese di decisione casuali;

  • costringe, gli allievi, a riflessioni superficiali e ad apprendimenti di tipo mnemonico.  

In altre parole queste forme di valutazione, in genere, non risulterebbero in grado di misurare ciò che invece oggi è necessario misurare negli studenti, e cioè il possesso di strutture di conoscenza flessibili, la capacità di riorganizzare le loro conoscenze, la capacità di essenzializzare la massa di conoscenze per ridurre il peso cognitivo nel loro uso, la competenza metacognitiva per sapere quando, come e perché è utile applicare determinate strategie. Accertare tutto questo è sembrato assai più importante che non verificare il possesso o la buona memorizzazione di concetti e di fatti, come solitamente accade quando si usano prove oggettive.
In questo senso, la valutazione  deve essere intesa non tanto come strumento di accertamento dell’avvenuta conoscenza, ma come comprensione del “processo” che ha condotto alla costruzione di un determinato sapere: questo non significa sottovalutare l’importanza del giudizio espresso in merito al raggiungimento dell’obiettivo, ma conferire il giusto valore alla conoscenza dei percorsi, dei metodi, delle strategie mentali messe in atto da ciascun alunno per giungere all’acquisizione di una determinata conoscenza e competenza; significa utilizzare la valutazione come strumento per proiettarsi nel futuro e non rimanere ancorati al passato.
In altre parole, una valutazione che volesse essere maggiormente “autentica” dovrebbe consentire di esprimere un giudizio più approfondito dell’apprendimento, e cioè della capacità di pensiero critico, di soluzione dei problemi, di metacognizione, di efficienza nelle prove, di lavoro in gruppo, di ragionamento e di apprendimento permanente.
Da questo punto di vista abbiamo bisogno di una valutazione scolastica in grado di avere criteri tipici di un sistema complesso. Complesso non significa troppo complicato, impossibile da effettuare. Cum-plexus significa che mi trovo in un sistema in cui molti contesti s'intrecciano tra loro e io ne devo tener conto, non per complicare la vita, ma per non banalizzare la valutazione. Il primo chiarimento da dare è che o la valutazione scolastica deve avere una valenza formativa/educativa o non è una formazione scolastica; la valenza formativa/educativa si ha se quella valutazione ha senso per quel bambino, se gli restituisce la giusta dimensione del suo lavoro e può concretamente riutilizzare quanto ha appreso nel percorso di formazione.
La valutazione deve dare indicazioni di cosa fare dopo come lavoro, come attività per raggiungere risultati migliori (il generico “devi impegnarti di più” implica un giudizio negativo, non dà delle indicazioni, ma se io scrivo “devi ripassare i verbi” la valutazione indica anche il tipo di azione che deve seguire la prestazione fatta). Il punto centrale del sistema di valutazione è che ogni forma di valutazione data deve rafforzare il legame nella relazione d'insegnamento/apprendimento e rinnovare i patti. C'è, infatti, un legame fortissimo fra la valutazione, l'apprendimento e l'insegnamento: ci sono valutazioni che bloccano l'apprendimento e sono quelle che rendono impotente chi è valutato, senza desiderio di superare le proprie difficoltà, incapace di agire. Le valutazioni che spingono ad apprendere (e dunque a migliorarsi) sono quelle che aprono al desiderio d'imparare, perché uno si sente capace di superare i propri limiti: non c'è un giudizio che sta sopra al lavoro calato da un osservatore esterno, ma la considerazione sul lavoro che implica anche una complicità di chi sta insegnando. È come se l'insegnante dicesse stai facendo un grosso sforzo ma non sei da solo, ci sono anch'io. Se un bambino o uno studente si sente solo, pensa di non farcela, si scoraggia, si fa da parte, abbandona, lascia lo sforzo ad altri. Un bambino non sa se è intelligente, capace, se ce la farà nel futuro: le sue potenzialità gli vengono mostrate dagli adulti, quelli che ama, prima di tutto, e dagli insegnanti a scuola. Ogni forma valutativa, per essere efficace e tendere ad una forma di apprendere ad apprendere, deve implicare un'autovalutazione da parte dello studente, una sua riflessione su quello che fa e su come lo fa, perché solo da questa riflessione possono arrivare quegli aggiustamenti che gli permetteranno di avere un miglioramento consapevole del suo percorso scolastico e formativo.
Qualcuno, a questo punto, può pensare che è quasi impossibile “valutare bene”: sì è vero, quella della valutazione è una partita molto dura da giocare e che non s'impara mai a sufficienza, ma se siamo all'interno di una reale situazione educativa, in una relazione forte d'insegnamento/apprendimento, l'insegnante e lo studente vivono una coevoluzione reciproca, in cui la valutazione è una delle tante strategie comunicative. Ci si capisce e ci si aggiusta in continuazione.
In questo senso la valutazione scolastica non è semplicemente un’attività di registrazione; si avvicina alla documentazione di un percorso di cui si è partecipante e allo stesso tempo supervisore. Andrebbe considerata più che un’attività burocratica, una ricerca sull’efficacia del proprio ruolo in relazione alle specifiche caratteristiche cognitive, affettive e motivazionali dei propri alunni.

Scrivania

Nuove modalità di scrutinio nella scuola: la pagella elettronica 

 

​di Elisabetta Formaggi

Che l’innovazione fosse nell’aria, lo sapevamo da tempo: è  molto che si parla dell’uso nella Scuola Italiana di nuove tecnologie ad uso degli operatori (docenti, personale ATA) e dei consumatori  (studenti e genitori). Già nel 2009 alcuni Istituti, soprattutto le scuole secondarie hanno sostituito il registro personale dei docenti con un più comodo format, il registro elettronico appunto, che spazza d’un colpo decenni di comunicazioni cartacee scuola- famiglia per divenire il nuovo modo di comunicare, sicuramente più efficiente e  meno costoso per le amministrazioni pubbliche. Un  cambiamento  non solo   rivolto   agli aspetti della comunicazione e dei servizi amministrativi della scuola ma anche alla didattica perchè tutto diviene più semplice: trasferire voti, informazioni e giudizi riguardo le interrogazioni e i compiti svolti e tutto è più semplice da ritrovare anche a distanza di tempo.  Niente sarà più affidato alla memoria, seppure sempre molto efficiente dell’insegnante, ma ai milioni di chip telematici che gestiscono  con padronanza invidiabile i tanti dati raccolti e puntuali li rimandano  al docente in qualsiasi momento per un quadro d’insieme preciso dell’alunno così da darne altrettanta puntuale comunicazione ai genitori. La vita scolastica dei ragazzi sarà pienamente rilevata e documentata con il vantaggio di mantenere nel tempo un contatto continuo con le famiglie.   
Con il decreto legge n. 95/2012 contenente “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, convertito dalla legge n. 135/2012, viene dato un ulteriore impulso a questo processo di dematerializzazione  con l’estensione nelle scuole di ogni ordine e grado delle innovazioni tecnologiche, quindi con l’ampliamento delle stesse ad altre attività importanti come le prossime iscrizioni da effettuare solo in modalità on line e lo scrutinio elettronico con pagella telematica.
L’innovazione rappresenta certamente un grande passo in avanti, anche se ogni medaglia ha sempre il suo rovescio, questa volta abbastanza prevedibile, di una tecnologia non sempre così facilmente fruibile da tutti vuoi perché necessita di una più generale ed efficiente organizzazione telematica alle spalle, vuoi perché non tutti, a partire dai docenti stessi sono così capaci ancora di gestire file, internet ecc. Eh già, chi frequenta come la sottoscritta i corridoi scolastici, certamente ha davanti agli occhi tutta una generazione di docenti che ha molta più dimestichezza con la penna e la carta che con il computer, anzi preferisce passare ore e ore a scrivere programmazioni e giudizi cartacei fiera  e compiaciuta di non essere “succube” del Pc, orgogliosa della propria scrittura  e che guarda con una sorta di disprezzo a quella macchina più veloce, sicuramente,ma fredda e distaccata che non può trasmettere la calda passionalità di un giudizio scritto a penna.   Ma da quest’anno il Ministero della Pubblica istruzione ha avviato il processo di rinnovamento tecnologico tout court a cui docenti e genitori dovranno abituarsi: si parte appunto con lo scrutinio elettronico  sia di fine quadrimestre che finale.  Sono già state date indicazioni dal Ministero alle ditte appaltatrici che avranno il compito di garantire alle scuole la funzionalità  dei sistemi operativi e indicazioni alle scuole perché formino i docenti all’uso e all’acquisizione delle modalità di svolgimento degli scrutini.  Non poche le perplessità che una tale operazione suscita: anzitutto l’efficienza del sistema telematico in momenti come quelli degli scrutini, nei quali è fondamentale che tutto funzioni, ma fa pensare anche che  da ora in poi non vi saranno più discussioni in sede di scrutinio riguardo a un cinque da dare piuttosto che un sei e/o viceversa: i voti di ogni disciplina dovranno essere comunicati prima al docente coordinatore che li inserirà poi nel registro e se cinque dovrà essere, lo sarà.  Solo nello scrutinio finale, gli insegnanti potranno ancora discutere la valutazione da dare prima che questa sia inserita definitivamente nella pagella elettronica per ovvi motivi legati alla decisione di bocciare o meno l’alunno.
Altra perplessità riguarda il giudizio che nelle schede devono dare gli insegnanti della Scuola Primaria. Lo scrutinio elettronico esimerà  i docenti dallo sforzo di scrivere giudizi il più aderenti possibile alla situazione dell’alunno dando piuttosto la possibilità di assemblare frasi precostruite per la gioia dei cultori del “copia e incolla”. Insomma ci saranno da cambiare un po’ di cose e un po’ di sano scetticismo che accompagna sempre l’avvio di ogni cambiamento non guasta, anche se è fuor di dubbio che il rinnovamento  porterà indubbi benefici non solo a livello di costi ( e in momenti del genere non è poco), ma anche di risparmio di milioni di chili di carta con un impatto più che positivo sull’ambiente.
I docenti, anche quelli più restii, si abitueranno con il tempo ad apprezzare le gioie dell’elettronica e forse vorranno  usufruirne in seguito sempre di più, imparando ad utilizzare altre tecnologie, già presenti nella scuola, ma non così diffuse, come videoproiettori, lavagne LIM per realizzare che si può fare didattica anche in modi nuovi e in molti casi, più efficaci per l’apprendimento dei nostri ragazzi.  I genitori avranno finalmente la possibilità di essere informati senza dover prendere giorni di lavoro per recarsi ai colloqui o fare lunghe e snervanti file di attesa  per parlare con i docenti, specie nei pomeriggi così caotici dei colloqui generali. Ma vuoi mettere il colloquio faccia a faccia nel quale entrambe le parti, gli insegnanti che  i genitori potevano capire tante cose gli uni degli altri solo guardandosi direttamente negli occhi?

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